Racconti indiani 1. La prova più dura: arrivare a Delhi Station

La fame di conoscere il mondo è un desiderio irrefrenabile, quasi un bisogno, che se ti prende non ti abbandona più. Marta Grechi ce l’ha sempre avuto. Insegnante di yoga e ginnastica posturale, giocoliera e danzatrice, Marta vive a Cerveteri ma la sua casa è il mondo. Il Senegal, il Marocco, il Madacascar, l’Indonesia, il Nepal e l’amata India. Il Paese che una volta visitato crea dipendenza. A ottobre è ripartita di nuovo alla volta del sucontinente indiano. In questi mesi ha frequentato una scuola internazionale di yoga e un corso di consulente ayurvedico a Rishikesh, città nel Nord del Paese sul tratto iniziale del Gange, conosciuta come la capitale dello yoga appunto.

Fra poche settimane Marta tornerà a Cerveteri. Abbiamo voluto ripercorrere con lei alcuni momenti vissuti, a cominciare dall’arrivo in India, e goderci alcune visioni indiane tramite le sue straordinarie foto.

9 ottobre 1012

Atterraggio a Delhi alle 10 A.M. Temperatura intorno ai 30 gradi.

Questa volta la stagione è quella giusta. Per la prima volta in sei anni trovo in India una primavera inoltrata, la stagione monsonica è finita circa un mese fa, l’umidità e la temperatura stanno tornando piano piano entro valori accettabili. Come sempre, l’arrivo è traumatico: un’ umanità ricca e variegata, odori, colori, suoni Tutto stordisce.

Cerco di riordinare le idee e quel che rimane delle mie energie dopo 7 ore di volo, prendo lo zaino, cambio i soldi e mi ritrovo fuori dall’ereoporto nel delirio completo, persone che ti chiamano, cani e mucche che ti annusano, tassisti che vogliono decidere dove portarti senza averti nemmeno interpellato.

Mi guardo intorno cercando di individuare nella folla il chioschetto dei taxi prepagati. Trovato! Lo punto, facendo finta di essere cieca e sorda. L’omino senza nemmeno guardami in faccia mi stacca il foglietto con la tariffa da pagare per arrivare nella guest house che ho scelto. Poi tre tassisti mi si litigano ed alla fine sono in vettura.

Mi aspetta un’ora di viaggio per arrivare a destinazione. Mi godo il caos e il paesaggio comodamente seduta nel taxi, i finestrini non si chiudono e allo sportello devo prestare attenzione. “Mi raccomando non si appoggi” sono state più o meno le parole del driver. “Non si chiude bene!”, e aggiunge: “mi raccomando non metta le mani fuori dal finestrino, tanti sono rimasti senza!”.

Partiamo. Una specie di autostrada collega l’aereoporto al centro della città, tre grandi corsie dove si incastrano sfrecciando taxi, camion colorati, macchine private, carretti, biciclette, motorini, mucche, persone, cani…scimmie!

L’incredibile capacità del mio tassista di districarsi in questo marasma è davvero da riconoscere, mi tornano in mente le sue parole: “mani e braccia dentro”. Ora è chiaro cosa intendesse, scivola, sguscia, si insinua tra una macchina, un carretto, un bambino sfiorandoli di pochi millimetri, come se fosse in un gioco elettronico. Arriviamo a destinazione. La zona dove pernotto di solito a Delhi non è un gran ché. Paharganj è un quartiere molto affollato, pieno di alberghetti economici e ristoranti di pessima qualità, ma si trova proprio nei pressi di New Delhi Station, quindi esplode di turisti zaino in spalla che cercano una sistemazione economica e comoda per poter dormire aspettando di prendere il treno e scappare il più velocemente possibile dalla città.

Come sempre il tassista (oramai non ci perdo nemmeno più tempo), mi scarica a circa un chilometro dalla guest house con la scusa che la via è troppo intasata e non si passa, così mi riprendo lo zaino e proseguo a piedi. La stanchezza comincia a farsi sentire e lo zaino sembra molto più pesante che in Italia, cammino cercando di evitare mucche, buche, cacche e persone buttate in terra, finalmente arrivo nella guest house.

L’impresa delle imprese: arrivare a Delhi Station!

Ma sapevo già quello che mi avrebbe aspettato, quindi mi sbrigo a farmi una doccia, nella speranza di riprendermi un pò, perchè ora devo superare la prova più dura: arrivare al primo piano della NewDelhi rail station! Sembra incredibile, ma nei 200 metri che separano la strada dall’ingresso della stazione orde di persone cercano di convincerti che stai sbagliando, non è lì che devi andare per fare il biglietto, perchè sì, l’ufficio era al primo piano, ma ora non c’è più, ciascuno riportando la sua personalissima motivazione:

un incendio lo ha distrutto, l’ultimo terremoto lo ha reso inagibile, in realtà lì non c’è mai stato un ufficio, è inutile arrivarci tanto i macchinisti sono in sciopero, i treni sono tutti pieni non si può prenotare un viaggio prima del mese prossimo, un corteo di scimmie ha occupato i binari quindi i treni non partono, è il compleanno di Sonia Gandi quindi la stazione è chiusa.

Insomma ne ho sentite davvero tante e alcune molto fantasiose. In realtà l’uffico è lì, al primo piano, da sempre e sempre ci sarà, ma vuoi mettere convincerti ad affittare una macchina o prenotare un volo aereo che bel guadagno sarebbe per le agenzie per cui lavorano questi personaggi travestiti da persone che gentilmente ti danno un consiglio? That’s India!

Arrivata finalmente, mi metto in fila seduta sulle sedie che corrono tutte intorno alla parete della stanza, ci vuole un pò per capire la dinamica da seguire, di fronte a me gli impiegati schierati dietro scrivanie con sopra appoggiati computer risalenti al colonialismo britannico, lavorano duro cercando di assicurare un posto allo sprovveduto seduto davanti a loro su uno dei centinaia di treni che attraversano l’India da parte a parte creando una fitta rete, simile al sistema circolatorio del corpo umano. Eredità del colonialismo britannico. Potrebbe essere semplice come in qualsiesi altro paese: sei alla stazione, vuoi andare in un’altra città, vai alla biglietteria, fai presente dove vuoi andare e pagando ti ritrovi in mano il biglietto. Ma no qui sei in India! Tu sai dove vuoi andare, ma non basta!

Per prenotare un biglietto devi compilare un modulo, dove oltre a tutti i tuoi dati personali e quelli di tuo padre, devi anche scrivere il nome, il numero e l’orario del treno che vuoi prendere! E come fai a saperlo se la cartellonistica scritta a mano è in indi!?

Arriva finalmente il mio turno. Dopo la faticata fatta per compilare il modulo, l’impiegato mi dice che gli dispiace, ma non c’è posto sul treno che voglio! Bene! Quindi? “Mi dica quando e su che treno c’è posto”, chiedo io gentilmente. Incredibile ma vero, mi dice di compilare un altro modulo e rimettermi in fila! Come? Sono due ore che sono qui … e che ne so che altro treno c’è …. e se poi lo trovo ma è pieno anche questo? No, non se ne parla, mi rifiuto perentoriamente di alzarmi dalla sedia fino a che non ho un biglietto in mano!

Si muove evidentemente a compassione, prende un nuovo modulo e di suo pugno lo compila, in 5 minuti ho il mio tanto agognato posto in carrozza. Purtroppo la nuova soluzione trovata mi costringe a Delhi una notte in più di quello che avevo previsto, ma la temperatura è favorevole, ed è una buona occasione per godersi la caotica umanità di delhi.

Decido di prendere la famosa metropolitana in costruzione oramai da millenni e andare a godermi il romantico deliro della Old Delhi. Un quartiere speciale dove il tempo sembra essersi fermato, migliaia di persone, mucche, cani che si muovono in ogni direzione, insieme a carretti, risciò, taxi, biciclette, autobus stracolmi. Il traffico qui non ha direzioni, è come un fluido che si insinua in ogni interstizio, allo stesso modo si muovono i mezzi e le persone. E la regola qui è che il pedone non ha mai ragione. Mai! Incontro per prima la strada dei librai, decine di negozi, minuscoli con accatastati dentro e fuori in strada libri, quaderni, cartine geografiche risalenti alla prima guerra mondiale. La direzione è quella giusta, alla fine della strada si intravede la splendida cupola della moschea più bella di Delhi, Jaea Mashid.

Stanca torno in albergo. Mi aspetta un’alzataccia domani! Ceno velocemente e vado a letto.

Alle 6,30 sono pronta per il viaggio, zaino in spalla, esco. In giro solo mucche cani e topi, ancora la città dorme: qualcuno sul marciapiedi, qualcun’altro su un carretto. La strada è breve: in 15 minuti arrivo alla stanzione, lì la vita non si ferma mai, un città in piena attività! Passo lo zaino sotto il metal detector, controllo il binario e mi avvio verso il sovrapassaggio. La stazione dall’alto è incredibile.I lunghissimi treni fermi in banchina, si stagliano fino all’orizzonte, sembrano dei serpenti che brillano sotto il riflesso del sole, decine di acquile volano intorno pronte a catturare qualche topo o qualsiesi resto di umana testimonianza si possa mangiare. Il treno è già in banchina, controllo sul biglietto il numero della carrozza e il sedile, più o meno a metà treno la trovo. Numero 32. Fuori è appeso un foglio mezzo scolorito dall’acqua con su scritti i nomi di tutti i passeggeri. Trovo anche il mio! Il viaggio è breve e confortevole, in sole 4 ore e mezza arrivo a destinazione. Haridwar, una delle città sacre in India, una delle quattro dove ogni 12 anni si celebra il famoso Kumbh Mela, una delle festività indù più sentite che richiama migliaia di pellegrini sulle rive del sacro Gange. Da qui con uno sgangherato bus pubblico dopo appena un’ora raggiungo finalmente Rishikesh, e come per magia mi sembra di essere entrata in un’altra dimensione e forse lo è davvero!

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